Alimentazione
Per comprendere i nostri meccanismi di sopravvivenza alimentare dobbiamo
aver chiaro chi siamo e da dove veniamo, in altri termini conoscere la
nostra storia evolutiva. Dobbiamo inoltre prendere atto che, nell’arco
di 200 anni, l’ambiente nel quale viviamo e la qualità delle sostanze
nutritizie delle quali ci approvvigioniamo sono cambiate ad una velocità
tale da rendere impossibile qualsiasi forma di adattamento. Il processo
evolutivo che ha portato all’uomo contemporaneo si è concretizzato
in tappe progressive durate decine di milioni di anni. La grande rivoluzione
alimentare ebbe sicuramente a svilupparsi allorchè l’uomo aumentò
smisuratamente la sua capacità offensiva imparando ad usare dei
corpi contundenti, ossa, bastoni, pietre, che meglio potevano difenderlo
e che provocarono la differenziazione delle possibilità alimentari
da soltanto vegetariane a vegetariane e carnivore, il che avvenne verosimilmente
2,5 milioni di anni fa. Gli ominidi, grandi scimmie alle quali appartiene
il genere Homo, furono una famiglia di primati risalente al miocene inferiore,
ossia 23 milioni di anni fa e, per quel che ci è dato di sapere,
vivevano in un ambiente fluviale caratterizzato da facile reperibilità
di acqua e disponibilità di cibi vegetali. E’ possibile che
l’ampia disponibilità di frutta permise la sopravvivenza, anzi l’affermazione,
di coloro che avevano perso la capacità di sintetizzare alcune sostanze,
dette oggi vitamine, alleggerendo così la loro complessità
strutturale. La svolta evolutiva iniziata 2,5 milioni di anni fa, che porterà
all’homo sapiens, che data 200.000 anni , permise sia l’aggregazione tramite
la comunicazione vocale e gestuale, sia l’attacco armato ed in branco verso
il regno animale. Ragionando in questi termini è facile comprendere
come, dal punto di vista evolutivo, dalla rivoluzione industriale ad oggi
sia passato talmente poco tempo, meno di un soffio, da essere ininfluente
in termini di adattamento, a fronte di enormi sconvolgimenti ambientali
ed alimentari. Se negli ultimi due o tre milioni di anni possiamo tranquillamente
affermare che l’alimentazione sia di tipo misto, non possiamo assolutamente
dimenticare le nostre precedenti forme alimentari di tipo vegetariano,
e la memoria di ciò è conservata nella nostra struttura.
Non volendoci addentrare nei dettagli ricorderemo solo alcuni aspetti distintivi,
ma molto significativi, che differenziano gli animali vegetariani
dai carnivori, dal punto di vista della conformazione macroscopica dell’apparato
digerente. Se osserviamo un animale vegetariano mentre mangia, una mucca
per esempio, notiamo quanto continui a masticare il cibo, se vediamo un
carnivoro, un felino quale il leopardo, del quale un antenato, lo striofelide
visse nel miocene, notiamo che esso strappa il cibo e lo inghiotte.
A questi due comportamenti corrisponde una diversa funzione mandibolare
e lunghezza del tratto digerente. La vegetariana mucca tritura il cibo,
i denti presentano ampie superfici di contatto ed i molari sono ben sviluppati,
la mandibola, oltre ad aprirsi, può spostarsi lateralmente
a destra e sinistra permettendo ai molari di schiacciare e triturare il
cibo. I carnivori presentano invece denti aguzzi, atti a strappare
il cibo, la mandibola può solo aprirsi e chiudersi, i movimenti
di lateralità non sono praticamente possibili. La lunghezza del
canale digerente di un vegetariano è di circa sette volte la lunghezza
del suo tronco, quello di un carnivoro solo tre, l'onnivoro un valore intermedio.
Il vegetariano ha bisogno di un lungo tratto digerente per assorbire le
sostanze nutritizie presenti nei vegetali, basta poco invece al carnivoro
per assorbire le già disponibili proteine presenti nella carne.
Ebbene noi abbiamo un tratto digerente lungo quanto i vegetariani, non
abbiamo canini pronunciati ma ottimi denti molari, la nostra mandibola
può compiere movimenti di lateralità, presentiamo enzimi
digestivi salivari per i carboidrati al contrario di carnivori ed onnivori
ed altre caratteristiche che ci rendono dei buoni vegetariani ma degli
scadenti carnivori. Alla luce di queste brevi considerazioni, senza dilungarci
in più complessi aspetti, con il bene placido degli oncologi, posiamo
affermare che è auspicabile una alimentazione prevalentemente a
base di vegetali, e la correlazione fra una alimentazione carnea ed il
rischio di sviluppare alcune forme tumorali è largamente nota.Meno
nota è invece la correlazione fra alimentazione carnea e progressione
dello sviluppo di una massa tumorale, tanto chè, nelle prescrizioni
ai malati di cancro, a mio avviso negligentemente, di rado si ha indicazione
dietetica in tal senso. Va subito precisato che una alimentazione esclusivamente
vegetariana non pregiudica la sintesi proteica, anzi, se guardate due animali
di una massa muscolare e di una forza impressionante quali il toro e l’elefante,
sicuramente fatti di carne ed ossa, questi sono assolutamente vegetariani.
La sintesi delle proteine necessita della contemporanea presenza di 9 aminoacidi
essenziali. Questi sono presenti contemporaneamente nella carne, nei vegetali
invece non sono tutti presenti, alcuni vegetali ne hanno una parte, altri
un’altra. Se noi mangiamo una minestra di pasta e fagioli, altrimenti detta
la carne dei poveri, fra la pasta, formata da cereali ed i fagioli,
che sono dei legumi, sono presenti i 9 aminoacidi essenziali in quantità
sufficiente per formare le proteine di cui è fatta la carne. Questo
è un aspetto importante da tenere presente nella alimentazione di
un paziente neoplastico. Abbiamo già altrove detto di come la neoplasia
abbia grande tendenza ad accrescersi, aumentando di volume e replicandosi
altrove. Questa sua crescita necessita di una attiva sintesi proteica ed
il razionale della terapia dietetica tumorale, proposta sotto diversi aspetti,
è il privare il tumore delle sostanze necessarie affinchè
si accresca. Ovviamente anche le cellule sane vengono private dei 9 aminoacidi
essenziali, ma non trovandosi in rapida moltiplicazione come quelle tumorali,
sopportano meglio tali restrizioni. Bloccando il tumore nella sua espansione
si da modo alle nostre difese naturali di potervi agire contro in modo
più efficace. E’ ovvio che se le nostre difese naturali sono state
compromesse a seguito di una pesante terapia citotossica, come non di rado
avviene in chemioterapia o a seguito di consistente terapia radiante, le
possibilità che le nostre ridotte difese possano avere la meglio
si affievoliscono. Una dieta anticancro radicale è quella proposta
dal Sig. Breuss, il quale non è un medico e le cui affermazioni,
a tratti , lasciano dubbiose anche le menti più aperte. I
casi di riferita guarigione non vengono qui esaminati poiché l’intento
è di informare, non di indirizzare verso una terapia, chi vuole
potrà autonomamente documentarsi. Resta comunque un fatto che questa
rigida dieta, della durata di 42 giorni, sia assai nota per i riscontri
positivi che avrebbe dimostrato. Le persone trattate, alimentandosi in
un particolare modo, comunque vegetariano, non avrebbero particolari
problemi legati alla fame, anzi sarebbe assai ben tollerata, fino a 42
giorni per coloro che hanno migliori condizioni di partenza, 21 giorni
per quelli più compromessi. Un altra strategia per privare la massa
tumorale del suo nutrimento è di non permettergli di avere
a disposizione, nello stesso momento, tutti gli aminoacidi essenziali necessari
ad avviare la sintesi proteica, quindi il nutrire un malato di cancro
offrendogli abitualmente pasta e fagioli diventa assolutamente controindicato,
potrà mangiare la pasta ed anche i fagioli, ma in tempi diversi,
mai contemporaneamente. Non si pensi che la sola terapia dietetica o la
somministrazione di vitamina C o della vitamina B17 o quant’altro siano
singolarmente sufficienti, è l’integrazione ragionata dei vari approcci
terapeutici che, se mai, potrà condurre, in mani non improvvisate,
a qualche risultato. Non si pensi altresì che la semplicità
espositiva qui proposta sia una banalizzazione del problema, si cerca solo
d’introdurre l’argomento in termini a tutti accessibili, fornendo le basi
per seguire argomentazioni più complesse che verranno esposte in
futuro. Si rende ora necessaria qualche informazione circa l’odierna qualità
degli alimenti e subito risulta evidente come sia divenuta la regola trovare
frutta o verdura che non siano di stagione, ovvero prodotti di stagione
colti acerbi per motivi di conservazione e trasporto il cui sapore riflette
la povertà di sostanze nutritive di cui sono composti. Peggio ancora
è il pensare alla quantità di pesticidi necessari allo sterminio
di quegli insetti che ne avrebbero potuto danneggiare l’aspetto estetico.
Per quanto laviate frutta e verdura ricordate che tali sostanze si dissolvono
nel terreno e possono essere assorbite dall’apparato radicale e divenire
parte integrante del prodotto. Oggi bisogna prestare molta attenzione
alla provenienza dei nostri alimenti poiché, sempre più spesso,
abbiamo sulle nostre tavole prodotti d’importazione da nazioni che non
hanno controlli adeguati o peggio, nei quali sono permesse coltivazioni
geneticamente modificate. Quest’ultima considerazione è oltremodo
preoccupante per tutta la popolazione ed a maggior motivo per le persone
malate. Non sappiamo infatti come le distorsioni genetiche introdotte
possano ripercuotersi nel medio e lungo termine sulla salute, per certo
sappiamo che coltivazioni geneticamente modificate possono inquinare
le coltivazioni tradizionali al momento dell’impollinazione, fino a sostituirsi
ad esse. Ponetevi poi una domanda: perché è stato vietato
per legge il libero scambio di semi fra contadini da parte della comunità
europea? Perché poi l’abrogazione di tale assurdità vada
a prevedere ulteriori scogli che lascio a voi scoprire? Se avrete voglia
di documentarvi potrete poi notare come vi siano legami fra le industrie
farmaceutiche e le industrie produttrici di semi e quelle di pesticidi.
Tutto ciò deve far suonare un campanello d’allarme. La modificazione
genetica creata artificiosamente fa si che si possano manipolare
il numero di aminoacidi essenziali aumentandoli e ciò è già
avvenuto. Questa variazione arreca danno ad un approccio terapeutico basato
sul controllo degli alimenti che possono portare a sintesi proteica all’interno
di una massa tumorale, rendendo più difficoltoso un approccio diverso
dalla chemioterapia, sulla quale esiste un enorme business da parte
delle case farmaceutiche. Ovviamente ciascuno di noi è libero di
mangiare quel che crede e curarsi come vuole, ma quando le fragole che
coglievamo nel bosco diventano grandi come le arance, allora forse
c’è qualche cosa che non va. Forse sarà fastidioso
trovare un verme in una mela, ma sapete perchè non lo trovate più?
Per lui è talmente tossica che li non ci vive. Concludendo è
buona norma che il pz neoplastico privilegi un'alimentazione vegetariana,
più idonea alle nostre antiche origini ed abbia grande attenzione
circa la provenienza ed il tipo di coltivazione, ovviamente è indicata
la cultura biologica priva di pesticidi. E' opportuno che la sua
alimentazione sia ragionata in base al contenuto in aminoacidi essenziali.
Esistono inoltre piante che possono trovare indicazione per il pz. neoplastico
ed in letteratura sono ampiamente descritte, ma la loro analisi esula da
questo contesto. |