012 l'altra medicina - cancro: alimentazione- di: Francesco Nicelli
 
 
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Alimentazione 

Per comprendere i nostri meccanismi di sopravvivenza alimentare dobbiamo aver chiaro chi siamo e da dove veniamo, in altri termini conoscere la nostra storia evolutiva. Dobbiamo inoltre prendere atto che, nell’arco di 200 anni, l’ambiente nel quale viviamo e la qualità delle sostanze nutritizie delle quali ci approvvigioniamo sono cambiate ad una velocità tale da rendere impossibile qualsiasi forma di adattamento. Il processo evolutivo che ha portato all’uomo contemporaneo si è concretizzato in tappe progressive durate decine di milioni di anni. La grande rivoluzione alimentare ebbe sicuramente a svilupparsi allorchè l’uomo aumentò smisuratamente la sua capacità offensiva imparando ad usare dei corpi contundenti, ossa, bastoni, pietre, che meglio potevano difenderlo e che provocarono  la differenziazione delle possibilità alimentari da soltanto vegetariane a vegetariane e carnivore, il che avvenne verosimilmente 2,5 milioni di anni fa. Gli ominidi, grandi scimmie alle quali appartiene il genere Homo, furono una famiglia di primati risalente al miocene inferiore, ossia 23 milioni di anni fa e, per quel che ci è dato di sapere,   vivevano in un ambiente fluviale caratterizzato da facile reperibilità di acqua e disponibilità di cibi vegetali. E’ possibile che  l’ampia disponibilità di frutta permise la sopravvivenza, anzi l’affermazione, di coloro che avevano perso la capacità di sintetizzare alcune sostanze, dette oggi vitamine, alleggerendo così la loro complessità strutturale. La svolta evolutiva iniziata 2,5 milioni di anni fa, che porterà  all’homo sapiens, che data 200.000 anni , permise sia l’aggregazione tramite la comunicazione vocale e gestuale, sia l’attacco armato ed in branco verso il regno animale. Ragionando in questi termini è facile comprendere come, dal punto di vista evolutivo, dalla rivoluzione industriale ad oggi sia passato talmente poco tempo, meno di un soffio, da essere ininfluente in termini di adattamento, a fronte di enormi sconvolgimenti ambientali ed alimentari. Se negli ultimi due o tre milioni di anni possiamo tranquillamente affermare che l’alimentazione sia di tipo misto,  non possiamo assolutamente dimenticare le nostre precedenti forme alimentari di tipo vegetariano, e la memoria di ciò è conservata nella nostra struttura. Non volendoci addentrare nei dettagli ricorderemo solo alcuni aspetti distintivi, ma molto significativi,  che differenziano gli animali vegetariani dai carnivori, dal punto di vista della conformazione macroscopica dell’apparato digerente. Se osserviamo un animale vegetariano mentre mangia, una mucca per esempio, notiamo quanto continui a masticare il cibo, se vediamo un carnivoro, un felino quale il leopardo, del quale un antenato, lo striofelide visse nel miocene, notiamo che esso strappa il cibo e  lo inghiotte. A questi due comportamenti corrisponde una diversa funzione mandibolare e lunghezza del tratto digerente. La vegetariana mucca tritura il cibo, i denti presentano ampie superfici di contatto ed i molari sono ben sviluppati, la mandibola, oltre ad aprirsi,  può spostarsi lateralmente a destra e sinistra permettendo ai molari di schiacciare e triturare il cibo.  I carnivori presentano invece denti aguzzi, atti a strappare il cibo, la mandibola può solo aprirsi e chiudersi, i movimenti di lateralità non sono praticamente possibili. La lunghezza del canale digerente di un vegetariano è di circa sette volte la lunghezza del suo tronco, quello di un carnivoro solo tre, l'onnivoro un valore intermedio. Il vegetariano ha bisogno di un lungo tratto digerente per assorbire le sostanze nutritizie presenti nei vegetali, basta poco invece al carnivoro per assorbire le già disponibili proteine presenti nella carne. Ebbene noi abbiamo un tratto digerente lungo quanto i vegetariani, non abbiamo canini pronunciati ma ottimi denti molari, la nostra mandibola può compiere movimenti di lateralità, presentiamo enzimi digestivi salivari per i carboidrati al contrario di carnivori ed onnivori ed altre caratteristiche che ci rendono dei buoni vegetariani ma degli scadenti carnivori. Alla luce di queste brevi considerazioni, senza dilungarci in più complessi aspetti, con il bene placido degli oncologi, posiamo affermare che è auspicabile una alimentazione prevalentemente a base di vegetali, e la correlazione fra una alimentazione carnea ed il rischio di sviluppare alcune forme tumorali è largamente nota.Meno nota è invece la correlazione fra alimentazione carnea e progressione dello sviluppo di una massa tumorale, tanto chè, nelle prescrizioni ai malati di cancro, a mio avviso negligentemente, di rado si ha indicazione dietetica in tal senso. Va subito precisato che una alimentazione esclusivamente vegetariana non pregiudica la sintesi proteica, anzi, se guardate due animali di una massa muscolare e di una forza impressionante quali il toro e l’elefante, sicuramente fatti di carne ed ossa, questi sono assolutamente vegetariani. La sintesi delle proteine necessita della contemporanea presenza di 9 aminoacidi essenziali. Questi sono presenti contemporaneamente nella carne, nei vegetali invece non sono tutti presenti, alcuni vegetali ne hanno una parte, altri un’altra. Se noi mangiamo una minestra di pasta e fagioli, altrimenti detta la carne dei poveri, fra la pasta, formata da cereali  ed i fagioli, che sono dei legumi, sono presenti i 9 aminoacidi essenziali in quantità sufficiente per formare le proteine di cui è fatta la carne. Questo è un aspetto importante da tenere presente nella alimentazione di un paziente neoplastico. Abbiamo già altrove detto di come la neoplasia abbia grande tendenza ad accrescersi, aumentando di volume e replicandosi altrove. Questa sua crescita necessita di una attiva sintesi proteica ed il razionale della terapia dietetica tumorale, proposta sotto diversi aspetti, è il privare il tumore delle sostanze necessarie affinchè si accresca. Ovviamente anche le cellule sane vengono private dei 9 aminoacidi essenziali, ma non trovandosi in rapida moltiplicazione come quelle tumorali, sopportano meglio tali restrizioni. Bloccando il tumore nella sua espansione si da modo alle nostre difese naturali di potervi agire contro in modo più efficace. E’ ovvio che se le nostre difese naturali sono state compromesse a seguito di una pesante terapia citotossica, come non di rado avviene in chemioterapia o a seguito di consistente terapia radiante, le possibilità che le nostre ridotte difese possano avere la meglio si affievoliscono. Una dieta anticancro radicale è quella proposta dal Sig. Breuss, il quale non è un medico e le cui affermazioni, a tratti , lasciano dubbiose anche le menti più aperte.  I casi di riferita guarigione non vengono qui esaminati poiché l’intento è di informare, non di indirizzare verso una terapia, chi vuole potrà autonomamente documentarsi. Resta comunque un fatto che questa rigida dieta, della durata di 42 giorni, sia assai nota per i riscontri positivi che avrebbe dimostrato. Le persone trattate, alimentandosi in un particolare modo, comunque vegetariano,  non avrebbero particolari problemi legati alla fame, anzi sarebbe assai ben tollerata, fino a 42 giorni per coloro che hanno migliori condizioni di partenza, 21 giorni per quelli più compromessi. Un altra strategia per privare la massa tumorale  del suo nutrimento è di non permettergli di avere a disposizione, nello stesso momento, tutti gli aminoacidi essenziali necessari ad  avviare la sintesi proteica, quindi il nutrire un malato di cancro offrendogli abitualmente pasta e fagioli diventa assolutamente controindicato,  potrà mangiare la pasta ed anche i fagioli, ma in tempi diversi, mai contemporaneamente. Non si pensi che la sola terapia dietetica o la somministrazione di vitamina C o della vitamina B17 o quant’altro siano singolarmente sufficienti, è l’integrazione ragionata dei vari approcci terapeutici che, se mai, potrà condurre, in mani non improvvisate, a qualche risultato. Non si pensi altresì che la semplicità espositiva qui proposta sia una banalizzazione del problema, si cerca solo d’introdurre l’argomento in termini a tutti accessibili, fornendo le basi per seguire argomentazioni più complesse che verranno esposte in futuro. Si rende ora necessaria qualche informazione circa l’odierna qualità degli alimenti e subito risulta evidente come sia divenuta la regola trovare frutta o verdura che non siano di stagione, ovvero prodotti di stagione colti acerbi per motivi di conservazione e trasporto il cui sapore riflette la povertà di sostanze nutritive di cui sono composti. Peggio ancora è il pensare alla quantità di pesticidi necessari allo sterminio di quegli insetti che ne avrebbero potuto danneggiare l’aspetto estetico. Per quanto laviate frutta e verdura ricordate che tali sostanze si dissolvono nel terreno e possono essere assorbite dall’apparato radicale e divenire parte integrante del prodotto.  Oggi bisogna prestare molta attenzione alla provenienza dei nostri alimenti poiché, sempre più spesso, abbiamo sulle nostre tavole prodotti d’importazione da nazioni che non hanno controlli adeguati o peggio, nei quali sono permesse coltivazioni geneticamente modificate. Quest’ultima considerazione è oltremodo preoccupante per tutta la popolazione ed a maggior motivo per le persone malate. Non sappiamo infatti come le distorsioni genetiche  introdotte possano ripercuotersi nel medio e lungo termine sulla salute, per certo sappiamo che coltivazioni geneticamente modificate possono  inquinare le coltivazioni tradizionali al momento dell’impollinazione, fino a sostituirsi ad esse.  Ponetevi poi una domanda: perché è stato vietato per legge il libero scambio di semi fra contadini da parte della comunità europea? Perché poi l’abrogazione di tale assurdità vada a prevedere ulteriori scogli che lascio a voi scoprire? Se avrete voglia di documentarvi potrete poi notare come vi siano legami fra le industrie farmaceutiche e le industrie produttrici di semi e quelle di pesticidi. Tutto ciò deve far suonare un campanello d’allarme. La modificazione genetica  creata artificiosamente fa si che  si possano manipolare  il numero di aminoacidi essenziali aumentandoli e ciò è già avvenuto. Questa variazione arreca danno ad un approccio terapeutico basato sul controllo degli alimenti che possono portare a sintesi proteica all’interno di una massa tumorale, rendendo più difficoltoso un approccio diverso dalla chemioterapia, sulla quale esiste un  enorme business da parte delle case farmaceutiche. Ovviamente ciascuno di noi è libero di mangiare quel che crede e curarsi come vuole, ma quando le fragole che coglievamo nel  bosco diventano grandi come le arance, allora forse c’è qualche cosa che non va.  Forse sarà fastidioso trovare un verme in una mela, ma sapete perchè non lo trovate più?  Per lui è talmente tossica che li non ci vive. Concludendo è buona norma che il pz neoplastico privilegi un'alimentazione vegetariana, più idonea alle nostre antiche origini ed abbia grande attenzione circa la provenienza ed il tipo di coltivazione, ovviamente è indicata la cultura biologica priva di pesticidi. E' opportuno che  la sua alimentazione sia ragionata in base al contenuto in aminoacidi essenziali. Esistono inoltre piante che possono trovare indicazione per il pz. neoplastico ed in letteratura sono ampiamente descritte, ma la loro analisi esula da questo contesto.